Di Totò Cuffaro

Nel discorso ai parlamentari pronunciato da Papa Leone XIV nel giugno scorso, in occasione del Giubileo dei Governanti, vengo fissati, con semplicità e chiarezza, quelli che a tutti gli effetti possono essere considerati i punti cardinali propri dell’agire pubblico, non solo per i cristiani ma per tutte le donne e tutti gli uomini di “buona volontà” che scelgono di operare in politica, tanto più in un contesto culturale, sociale ed economico così contraddittorio e problematico come quello attuale.
Tutela del bene della comunità, prima di qualsiasi altro interesse particolare, imprescindibile riferimento alla legge naturale nell’attività legislativa e di governo e primato della persona, da riaffermare sia in chiave individuale che relazionale, rispetto ai rischi di sopraffazione indotti dagli algoritmi dell’intelligenza artificiale, costituiscono altrettanti ambiti di riflessione di cogente attualità per quanti sono a diverso titolo implicati nella gestione della cosa pubblica.
Personalmente mi sento fortemente provocato da tali sollecitazioni, consapevole come sono, proprio a partire da una storia segnata da errori e cadute di cui porto cicatrici indelebili, che le parole del Papa chiamano in causa la disponibilità ad una permanente revisione critica e ad un continuo ripensamento del proprio agire in funzione degli obiettivi che egli ha voluto indicare.
Sotto questo profilo prendere sul serio tali obiettivi credo voglia dire, in primo luogo, evitare di derubricarne gli effetti in una generica condivisione: una sorta di “sono d’accordo” pronto a lasciarci ultimamente come ci ha trovati.
Si tratta, piuttosto, di accettare la sfida che l’intervento di Papa Leone porta dritta al nostro cuore e alla nostra coscienza, scegliendo di mettere quotidianamente in discussione quelle “certezze” di cui vive diffusamente il mondo politico (nessuno escluso), basate in prevalenza su logiche di consenso, pur democraticamente conseguito, e sui legittimi spazi di potere che ne possono derivare.
È così che quelle indicate dall’attuale Magistero papale non possono mai considerarsi come mete definitivamente acquisite al personale bagaglio delle nostre comunità politiche.
Più che un’adesione ideologica tale Magistero ci invita, invece, a coltivare l’umiltà necessaria per lasciarci “contestare” rispetto alla matrice delle nostre priorità politiche e per farci guidare, ogni giorno di più, dalla consapevolezza che la vera riuscita di un percorso politico scaturisce, in primo luogo, dal riconoscimento del limite che ci portiamo dentro nel tentativo di realizzare un bene comune di cui spesso parliamo senza esserne, poi, pienamente capaci, ma alla cui realizzazione dobbiamo, tuttavia, continuamente tendere in un percorso di progressiva approssimazione.
Nell’anno giubilare, che ci invita a riconoscere le nostre mancanze alla luce della Speranza di perdono, Leone XIV traccia così, per tutti noi politici, il solco di un vero e proprio cammino “educativo” quanto mai necessario per sottrarci al rischio, sempre incombente, di identificare la consistenza ultima della nostra esperienza politica in fattori dal carattere effimero e contingente e perciò ultimamente incapaci di concorrere effettivamente all’edificazione di quel bene di tutti e di ciascuno che proprio dalla Dottrina sociale della Chiesa trova la sua principale fonte di legittimazione ideale.
Questo cammino è una possibilità davvero preziosa che la paternità del Papa offre e sollecita ad un tempo con limpida tenacia e alla quale, per quanto mi riguarda, non intendo affatto rinunciare, insieme ai tanti amici con i quali condivido la mia storia politica.
TOTÒ CUFFARO
Segretario Nazionale della DC