Il Popolo - Quotidiano della Democrazia Cristiana fondato nel 1923
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L’impegno dei cattolici in politica

Impegno dei cattolici in politca

I principi cristiani non siano finalizzati solo a un obbiettivo escatologico, ma debbano anche aiutare a elaborare i limiti e le caratteristiche qualificanti di impegno dei cattolici in politica, alla luce dell’Umanesimo Cristiano.

LA PERSONA E LO STATO

Il centro del messaggio evangelico è solo l’uomo come persona.
L’organizzazione pubblica della società è strumento necessario alla vita di una collettività per garantire la pace sociale e per gestire beni comuni, non al fine di creare un soggetto autonomo e onnipotente, il Leviatano che opprime gli individui.
L’idealizzazione dello Stato come Persona ha condotto, attraverso ben note filosofie idealistiche, ad attribuire a questa formula organizzativa un’esistenza autonoma, una propria volontà, una propria ragione di esistere Indipendentemente dalle persone. Per sua stessa natura e conformazione giuridica, esso diviene onnipotente, invadente, totalizzante. Il cristiano non è anarchico né antistatalista, ma confida più nella libertà guidata dall’Etica che nell’organizzazione e nell’imperio. La sussidiarietà orizzontale, e quindi il coinvolgimento delle formazioni intermedie da questi formate (famiglie, associazioni etc.) è il primo degli strumenti per il funzionamento di una società, poiché si basa sulla libertà dell’autorganizzazione e sulla volontarietà degli interventi. Non anarchia o libertarismo, quindi, ma suddivisione di competenze e interventi.
Tale filosofica non può non tradursi in misure che riducano al minimo indispensabile l’intervento e l’azione dello Stato.

LA QUESTIONE MORALE

Politica come servizio

Il rispetto di regole morali parte di ciascun uomo politico nell’esercizio della sua attività, riguarda la sua coscienza e il suo foro interno. Ciò non ostante, dai Principi cristiani discendono alcuni punti fermi che impegnano i cristiani oltre le comuni regole penali o morali.
L’impegno politico, giustamente remunerato, non può costituire occasione per l’esercizio di un potere personale e per lucrare guadagni, anche se leciti secondo le leggi, bensì occasionati e favoriti dalla posizione di potere e di privilegio. In disparte i fatti costituenti reati o illeciti, anche il semplice approfittamento della propria posizione non è tollerato dal cristiano. Nel momento in cui un cristiano decide liberamente di dedicarsi al servizio della comunità assume responsabilità precise scaturenti dal suo nuovo ruolo. Tradire o approfittare della fiducia di coloro al cui servizio ci si pone vuol dire tradire il messaggio evangelico ove il servizio agli altri è esaltato nel Sacrificio massimo.

Politica come professione

Già negli anni ’70 Massimo Severo Giannini avvertiva che occorre prendere atto che l’attività politica richiede professionalità e impegno full time, tanto da costituire una vera e propria professione. Occorre bandire facili demagogie sullo stipendio del personale politico, prendendo coscienza che la Politica è una professione e come tale ha diritto alla giusta remunerazione come qualsiasi lavoro. Solo una retribuzione giusta ma adeguata per tali incarichi permette l’accesso alla politica non solo ai ricchi e costituisce la prima linea di difesa contro la corruzione. Allo stesso tempo, la trasparenza e l’informazione, oltre che la limpidezza del sistema, devono essere assicurati al massimo grado, per creare il consenso della gente sul giusto compenso.

I costi della politica

I partiti costituiscono l’asse portante della politica. In qualsiasi Paese garantiscono la partecipazione democratica ai meccanismi della politica quali ineliminabili tramiti, mediatori tra il cittadino e le istituzioni. Anche se essi fossero gestiti in maniera volontaristica, comunque sarebbero necessari finanziamenti per il loro funzionamento. Tale finanziamento può essere a carico della collettività ovvero dei privati, in tutto o in parte, ma è comunque indefettibile.

La scelta tra il finanziamento pubblico e quello privato, in sé, non sembra implicare conseguenze sul piano etico, ma eticamente rilevanti sono invece le modalità dell’uno o dell’altro sistema e la loro congruenza con principi fondamentali. Si deve tenere conto, in primo luogo, del principio di libertà e di responsabilità dei cittadini, introducendo un meccanismo che comunque si basi sulla libera accettazione di sostenere i partiti e quindi sul principio di sussidiarietà anche nel reperimento di tali risorse.

In secondo luogo occorre evitare un ingiusto arricchimento da parte di coloro che scelgono di non finanziarli direttamente, e che quindi si avvantaggiano di uno sforzo economico altrui. Infine occorre ricordare che l’esistenza dei partiti è un bene pubblico meritorio, che giova a tutti e cui tutti devono, in qualche modo, contribuire.

Nella determinazione del finanziamento, infine, devono essere tenuti presenti alcuni principi fondamentali:

  • rispetto della proporzionalità delle spese dei partiti in funzione dei fini, a evitare ciò che sarebbe un vero e proprio furto.
  • Trasparenza, chiarezza, limpidità e semplicità di qualunque sistema si scelga perché esso non si trasformi in un inganno subdolo del cittadino.
  • Rifiuto di un sistema di finanziamento finalizzato allo scambio politico e quindi opportune misure di pubblicità trasparenza, controllo.

LA QUESTIONE ECONOMICA

La Dottrina sociale cristiana e l’economia sociale di mercato

I principi della Dottrina Sociale Cristiana sono di per sé sufficienti a disegnare il quadro etico dell’economia. Secondo la Dottrina, lasciati ai cittadini la responsabilità e il compito di determinare, secondo le mutevoli esigenze, l’organizzazione politica, tecnica e istituzionale dello Stato, questo deve rispondere, sempre e comunque, ad alcuni requisiti:

  • Favorire la convivenza civile
  • Garantire la giustizia
  • Perseguire il bene comune, dell’intera comunità e non di un gruppo a detrimento delle legittime esigenze degli altri.
  • Garantire e assicurare le giuste libertà individuali e sociali
  • Rispettare la libertà religiosa.

La declinazione storica attuale della Dottrina sociale è l’economia sociale di mercato abbracciata, in Italia, tra gli altri, da Einaudi, de Gasperi, Sturzo.
L’economia sociale di mercato è un modello di sviluppo dell’economia che si propone di garantire sia la libertà di mercato sia la giustizia sociale, armonizzandole tra di loro. L’idea di base è che la piena realizzazione dell’individuo non può avere luogo se non sono garantite la libera iniziativa, la libertà d’impresa, la libertà di mercato e la proprietà privata, ma che queste condizioni, da sole, non garantiscono la realizzazione della totalità degli individui (la giustizia sociale) e la loro integrità psicofisica, per cui lo Stato deve intervenire laddove esse presentino i loro limiti.

L’intervento non deve però guidare il mercato o interferire con i suoi esiti naturali: deve semplicemente prestare il suo soccorso laddove il mercato stesso fallisce nella sua funzione sociale a causa di squilibri di potere o asimmetrie informative e deve fare in modo che diminuiscano il più possibile i casi di malfunzionamento.

L’enciclica Caritas in Veritate ha magistralmente tracciato i criteri interpretativi della Dottrina oggi, indicando gli obbiettivi etici anche più di dettaglio. A proposito dell’ordine economico tratteggiato nella Dottrina e nell’economia sociale di mercato, non vi è dubbio che esso sia liberale. La libertà è attributo principale dell’uomo come figlio di Dio, e il liberalismo vissuto alla luce degli indirizzi del Vangelo non è libertarismo né libertinismo, ma anzi “è congenere al cristianesimo” (Joseph Ratzinger: prefazione al libro di
Marcello Pera: “Perche dobbiamo dirci cristiani”) perché entrambi fondati sul riconoscimento della libertà dell’uomo come segno distintivo della sua dignità di figlio di Dio. Non bisogna però confondere il liberismo, attuazione in economia del liberalismo, con il capitalismo che è una filosofia di vita che pone il capitale, e dunque la sua accumulazione, al centro dell’attività dell’uomo, scalzando la persona e riducendola a strumento. Il capitalismo è Mammona, cui il capitalista ha dedicato e immolato se stesso.

L’adesione alla Dottrina, all’Enciclica e all’economia sociale di mercato si fonda quindi, per noi cristiani, su alcuni principi di base:

  • Adesione all’economia sociale di mercato.
  • Scelta liberista nel mercato quale conseguenza della scelta liberale, congiunta però all’etica nei rapporti economici, alla solidarietà, alla gratuità nel senso indicato dall’Enciclica Caritas in Veritate;
  • Rifiuto dell’interventismo di Stato e dell’economia pianificata e limitazione
  • dell’intervento pubblico nell’economia alle sole misure correttive dei malfunzionamenti e asimmetrie del mercato.
  • Ampio ricorso, quindi, alla sussidiarietà orizzontale e utilizzazione dell’assistenza principalmente privata, e ricorso alle sole misure utili al reinserimento delle fasce deboli, svantaggiate o emarginate nel processo economico.
  • Astensione del pubblico dall’attività produttiva ed eliminazione dei monopoli pubblici o, in alternativa, affidamento anche di essi al libero mercato mediante i meccanismi ormai noti del gestore indipendente sottoposto a controllo.
  • Attenzione a favorire condizioni, non di egalitarismo, ma di pari opportunità per tutti i membri della società e, successivamente, di sostegno ai disagiati, emarginati, comunque impreparati a causa delle proprie caratteristiche personali o sociali ad affrontare la fatica del vivere (art. 3, comma secondo Cost.).

La famiglia e l’economia

Sussiste nell’impostazione politica attuale una contraddizione tra il modo di considerare l’economia e i suoi problemi e la costruzione fondamentale della società che emerge dall’articolo 29 della Costituzione. Se la famiglia è il mattone di cui si compone l’intero edificio, diviene contraddittorio che i problemi di finanza pubblica, in primo luogo il trattamento fiscale, siano viceversa basati su una visione personale e atomistica. Le scelte dei soggetti economici sono in realtà scelte della famiglia.
In primo piano è l’uomo e quindi la formazione sociale primaria nella quale egli svolge la sua personalità (art. 2 e 29 Cost.), l’economia è strumentale al benessere dell’uomo e, quindi, della famiglia, mentre nella visione attuale l’economia rischia di divenire un valore in sé, un valore finale e non strumentale il che sarebbe già una forma di capitalismo inaccettabile. L’uomo, e conseguentemente la famiglia, rischiano, quindi, di essere ristretti nella mera dimensione consumistica, serventi, e non protagonisti, dell’economia.

Principalmente due sono i campi in cui è moralmente necessario un intervento:

  • In primo luogo il trattamento fiscale. Ciò che conta è che cambi il punto di riferimento dell’imposizione. Esso è oggi il singolo contribuente. Una tale impostazione va radicalmente ribaltata, ponendo al centro dell’imposizione fiscale la famiglia, i suoi consumi e i suoi bisogni, giungendo, a parità di prelievo fiscale complessivo, a una redistribuzione del carico in funzione della famiglia. Non è, infatti, il singolo, atomisticamente considerato, il fondamento fella società,ma la famiglia.
  • In secondo luogo, la famiglia deve essere intesa come luogo ove può svilupparsi un’economia proficua. Ad esempio si può sviluppare una legislazione che favorisca l’utilizzazione del TFR dei genitori per l’intrapresa economica assieme ai figli o altre norme per favorire l’impresa familiare utilizzando le professionalità dei genitori, pur mantenendo essi il loro lavoro.

In sintesi, qualunque sia lo strumento prescelto, deve essere recuperata e favorita la forte valenza etica dell’impresa e dell’economia familiare, soprattutto dinanzi ad una visione della produzione massificata, industrializzata, basata solo sui grandi aggregati produttivi, le grandi fabbriche occasione di straniamento e alienazione del lavoratore e di ricerca del potere per sindacati e partiti.

I prinicpi non negoziabili

Il Politico che si ispira ai valori del Vangelo e del cattolicesimo deve pronunciarsi con chiarezza, nettezza, senza condizioni, tentennamenti e maneggi di bassa politica, per la difesa dei Principi non negoziabili. Troppo spesso abbiamo assistito a situazioni in cui i così detti Principi non negoziabili, esaltati e predicati quale limite invalicabile, siano stati barattati nel gioco politico con concessioni di natura più profana e prosaica, normalmente economica. Se la politica è l’arte del possibile, occorre ricordare che è impossibile per il cristiano rinunciare ai Principi non negoziabili, perché per definizione appunto irrinunciabili. Se realmente i Principi non sono negoziabili, allora la negoziazione politica, altrimenti detta compromesso, sarebbe una contraddizione in termini.

Non è tuttavia accettabile la posizione di chi ritiene di lavarsi le mani dei Principi lasciando “libertà di coscienza” ai deputati. In disparte la considerazione che ciò, a contrario, vorrebbe dire che per le altre questioni i deputati siano obbligati a scegliere violando la propria libertà di coscienza, l’espressione è di per sé priva di alcun senso.

Per un cattolico non è condivisibile ritenere che tali argomenti possano essere considerati meno importanti o meno urgenti da non prendere posizione sin da ora su di essi e lasciarli ad un ipotetica ed incomprensibile “libertà di coscienza”. Il tema dei Principi non ha natura solo privata ma pubblica, e dunque politica. Al fondo vi è una concezione antropologica e etica dell’uomo e della società che richiede da parte dei politici una presa di posizione netta, ben definita e non ambigua sin dall’affacciarsi nella vita pubblica.


Nessuno è così ingenuo da ritenere che l’irrigidimento nella negoziazione su questioni etiche non possa condurre al fallimento nel gioco della maggioranza. E’ questo un punto delicato ma anche qualificante dell’impegno dei cattolici in politica. Vi è, infatti, da riflettere su un punto essenziale circa la nostra Fede nel Vangelo. Il cristiano non è certo votato al martirio, al sacrificio e al fallimento ad ogni costo, ma egli crede anche che il messaggio evangelico ci prometta, tra l’altro, anche che la perseveranza alla fine trionfi.

La famiglia e il matrimonio

La famiglia rappresenta, per noi cristiani, la raffigurazione del rapporto tra Dio e la Chiesa nella quale il Suo popolo si raccoglie. La famiglia è indefettibilmente fondata, dal versante di Fede, sul matrimonio quale Sacramento e, sul versante del diritto naturale, sull’unione feconda tra un uomo e una donna. L’istituto del matrimonio, quale negozio giuridico civile e quindi a prescindere dal Sacramento, è tuttavia per noi cristiani egualmente essenziale nella costruzione della società e completa la visione del matrimonio religioso. Infatti, il cristiano “nel mondo” condivide la visione antropologica naturale e universale nella quale l’uomo è elemento costitutivo della cellula fondamentale della società, la famiglia.

Egli è quindi interessato alla disciplina giuridica del matrimonio civile non solo come cittadino, ma anche come cristiano. Pertanto, l’istituto familiare, quale riconosciuto dall’articolo 29 della costituzione, non può che essere per il cristiano, e il politico che tale si professa, solo quello basato sul matrimonio come negozio giuridico, e questo non può che avvenire tra un uomo e una donna, per tutti i cittadini, pena il disfacimento e la disgregazione della società, la quale è un bene da preservare per tutti, credenti e no.

Ciò non tocca la libertà dei singoli di praticare nella maniera preferita la propria sessualità e il proprio amore, che non costituiscono per il cristiano occasioni di discriminazione, giudizio, avversione.

Anche le unioni di fatto devono essere riviste alla luce della valorizzazione del matrimonio (in senso giuridico civile) pur prendendo atto della giurisprudenza costituzionale e civile a favore di tali unioni. Rifiuto, quindi, di surrogati matrimoniali ed esaltazione, invece, della libertà negoziale riconosciuta dall’articolo 1322 del codice civile attraverso cui regolare interessi economici e no derivanti da rapporti di colleganza, amicizia, amore. Mai però, attraverso un istituto pubblicistico che introduca, surrettiziamente, una forma di vincolo matrimoniale o il riconoscimento di effetti propriamente matrimoniali a unioni di fatto omo o eterosessuali.

La famiglia e la paternità e maternità responsabili

Analogamente riteniamo da cristiani che la crescita e l’evoluzione pedagogica dei bambini non possa che avvenire all’interno di una famiglia composta di una figura paterna e una materna corrispondenti al sesso e in rapporto di amore con il bambino, vuoi per filiazione naturale, vuoi per affidamento o adozione. Non sono accettabili l’affidamento o l’adozione a favore di coppie omosessuali perché ciò altera il normale rapporto psicologico del bambino con la propria sessualità maschile e femminile e perché lo priva delle trasmissioni psicologiche proprie di ciascun sesso e della trasmissione dei Principi di realtà peculiari di ciascuna psicologia differenziata per genere.
Attenzione deve essere prestata al regime giuridico della filiazione esterna al matrimonio a evitare che quest’ultimo sia via via privata della sua stessa causa giuridica.

Il fine vita e il testamento biologico

Il padrone della vita è Dio, Egli dà Egli toglie. Dio non può essere sostituito dallo Stato o, per esso, da una qualche figura prevista e disciplinata dall’ordinamento giuridico. Non è assolutamente accettabile, pertanto, l’idea di una disciplina dell’eutanasia. Non è neppure accettabile, però, una disciplina del così detto “fine vita” che attribuisca allo Stato (sia pure attraverso la finzione della decisione di un organo o soggetto tecnico e terzo) la decisione circa la vita umana.

Chiaro deve essere il messaggio, da parte dei politici che chiedono la nostra fiducia, circa il rifiuto di una disciplina diversa da quella che preveda esclusivamente una preventiva decisione dell’individuo, assunta in periodo non sospetto, sull’eventuale prolungamento delle cure quali “accanimento terapeutico”, rifiutando qualsiasi indagine circa presunte “convinzioni morali” o “implicite manifestazioni” sia pure testimoniate da persone in buona fede. E ovviamente l’impossibilità di intervenire in mancanza dell’espressa dichiarazione.

In ogni caso, l’argomento, sotto un profilo etico e religioso, è di tale complessità, che è essenziale l’indirizzo della Chiesa elaborato attraverso l’esegesi della Parola e la pronuncia del Sommo Pontefice. A essa anche i politici cattolici devono adeguarsi, senza compromessi o tentennamenti, in uno spirito che non è di subordinazione alla Chiesa istituzione, ma di aderenza al Vangelo e dall’altro non di cessione colpevole alle spinte emozionali dell’opinione pubblica.

La ricerca scientifica e la fecondazione artificiale

L’infecondità è vissuta nella maggior parte dei casi come un dramma. Essa, in effetti, impedisce la realizzazione del livello massimo di amore ricordato dal Vangelo, quello del Padre verso i suoi figli. L’uso delle scoperte scientifiche per la soluzione di problemi umani non solo è moralmente lecito, ma anche desiderabile. La Scienza è il frutto della ragione, dono di Dio. Corretto è, quindi, tentare di risolvere il dramma personale di chi si trovi in condizioni di sterilità mediante l’intervento della scienza ad ausilio della natura per favorire la procreazione, ma a condizione che ciò avvenga quale surrogato coerente con il meccanismo naturale.

Non possiamo quindi deflettere dal rifiutare la fecondazione nelle fasce di età innaturali, in coppie omosessuali o altre pratiche invasive e devianti dalle naturali finalità della fecondazione, o addirittura finalizzate a scopi diversi, ad esempio di natura scientifica o commerciale. Riguardo alle tecniche di fecondazione, resta fermo che l’embrione fecondato è, per noi cristiani, un essere umano in nuce. Le conseguenze nell’ambito delle complesse tecniche devono essere lette dai politici cattolici alla luce di questa profonda convinzione. Allo stesso modo deve essere trattata la questione delle cellule staminali, soprattutto alla luce dell’attuale scienza che ha trovato le modalità per procurarsi tale tipo di cellule non necessariamente dagli embrioni.

La libertà religiosa

La libertà religiosa è anche libertà positiva. Sono necessari strumenti che agevolino le scelte religiose e la vita di ciascuno secondo la propria religione, qualunque essa sia. Viene in questione, per quanto concerne i cattolici, soprattutto il problema dell’insegnamento nelle scuole cattoliche.
La nostra Costituzione non ha accolto il principio per cui l’insegnamento e l’organizzazione della Scuola siano un servizio esclusivamente riservato in via monopolistica allo Stato, quando, nell’articolo 33 ha proclamato la libertà d’insegnamento e la libertà per enti e privati di istituire scuole e istituti di educazione. Il servizio scolastico, d’altro canto, è considerato un “bene pubblico meritorio”, assume quindi carattere di doverosità per lo Stato Comunità.

In una parola, l’istruzione è un servizio pubblico irrinunciabile che può essere erogato in forma statale o non statale. Pertanto la collettività nel suo insieme deve farsi carico del servizio scolastico attraverso la fiscalità generale, sia esso erogato attraverso l’istruzione pubblica statale, sia attraverso l’istruzione pubblica non statale. Tuttavia, la mancata equiparazione delle scuole confessionali (di tutte le confessioni riconosciute) a quelle pubbliche sotto il profilo di chi sostiene i costi contraddice, di fatto, la libertà d’insegnamento e religiosa.

Predicare la libertà per ciascuna confessione religiosa di aprire e organizzare scuole confessionali, e poi abbandonarle al semplice finanziamento delle famiglie, è azione evidentemente ipocrita e violenta, di una violenza morale che sfrutta la debolezza economica delle famiglie per negare loro, in sostanza, il diritto a un’educazione confessionale.

E’ una falsità affermare che l’eventuale finanziamento delle scuole confessionali sottragga risorse alla scuola statale. Al contrario, poiché il servizio d’istruzione deve essere garantito dallo Stato a tutti come sopra si è detto, se le migliaia di giovani che oggi frequentano le scuole confessionali, non solo cattoliche, si riversassero sul sistema statale, questo non potrebbe rifiutarli, ma allora diverrebbe inadeguato a sostenerne il carico e si determinerebbero altri costi aggiuntivi.

Secondo le stime del MIUR l’assorbimento di studenti da parte delle scuole private fa risparmiare allo Stato sei miliardi di euro annui. Non osta, pertanto, al finanziamento pubblico l’articolo 33 della Costituzione il quale precisa che le scuole private possono essere istituite senza determinare oneri per lo Stato. Ciò significa il divieto di sopportare un onere ulteriore rispetto a quanto dovrebbe sopportare, mentre il sistema d’istruzione privata solleva appunto lo Stato dai costi necessari per mantenerlo. T

ale norma è stata per altro già da tempo interpretata nel senso che i finanziamenti sino a oggi erogati, sotto forma di buoni scuola o diretti, sono compatibili con la Costituzione in quanto finalizzati a garantire l’accesso alle scuole a tutti, previsto dal medesimo articolo 33 della Costituzione. La partecipazione parziale dello Stato al mantenimento delle scuole confessionali nei limiti della spesa che comunque dovrebbe affrontare in mancanza di esse, quindi, costituirebbe nient’altro che una forma di partenariato pubblico privato in un settore comunque obbligatorio per lo Stato stesso, conforme a Costituzione.

LA TESTIMONIANZA E LA PARRESIA DEL CRISTIANO

Il nuovo messaggio, il Vangelo, è l’evento più rivoluzionario della storia dell’Umanità. L’annuncio del Vangelo non spetta solo alla Chiesa e ai religiosi, e non si traduce solo nella predica, nella perorazione, nella proclamazione della Parola o nella celebrazione pubblica. In realtà annunciare il Vangelo significa anche, da parte dei laici cristiani impegnati nella società, semplicemente riconoscere pubblicamente e apertamente che le proprie scelte sono orientate, ispirate e conformi al Vangelo. Senza bigottismi o invasamenti mistici, visionari o integralisti, ma con la semplicità di chi riconosce che le sue azioni sono guidate da un’etica ben precisa e non dalla semplice logica del compromesso o, peggio, del tornaconto o del potere.

Il fedele laico assume la responsabilità di dichiarare pubblicamente che alcune sue scelte non sono derivate da un calcolo politico, vale a dire da una necessaria negoziazione o mediazione con altri interessi, ma da un’adesione piena e indefettibile a Principi irrinunciabili.

Solo un laicista e non un laico interpreta ciò come supina adesione a un ordine esterno (proveniente dai “preti”), il vero laico sa che ciò invece significa seguire la propria coscienza senza timori.

Dai politici cattolici ci aspettiamo, quindi, una decisa, precisa e chiara presa di posizione sulla propria adesione alla Fede e al Vangelo nella prassi politica.

Non accettiamo i contorsionismi e contorcimenti del “ma-anchismo” finalizzato a non scontentare i non credenti per non perdere voti. Il politico cattolico non ha timore di dichiararsi, di coinvolgersi anche a costo di perdere qualche voto e di non ricoprire mai cariche di potere. Del resto, si è detto, la politica è servizio, ma non certo servizio per se stessi.

Vogliamo che i politici cattolici professino espressamente la loro adesione alla Dottrina Sociale Cristiana, all’economia sociale di mercato e ai Principi irrinunciabili scaturenti dal messaggio biblico ed evangelico.

Se dunque annunciare il Vangelo, significa anche e soprattutto per noi semplici fedeli testimoniare che le nostre scelte sono guidate dal Vangelo, ciò impone a noi e ai nostri politici di praticare la parresia, cioè il diritto dovere di dire la verità, o per lo meno ciò che noi riteniamo essere la verità alla luce del Vangelo.

“Il vostro parlare sia chiaro: si si, no no” intima il Vangelo e così il messaggio divino s’inserisce e si storicizza nella tradizione democratica ateniese nella quale la parresia costituiva uno dei tre pilastri di base.
La verità vi farà liberi, ci è stato detto. E’ stata una presa in giro? Nella realtà occorre mentire e ingannare gli elettori? Sussiste una doppia morale per i nostri politici? La nostra risposta a tali domande è no.


Teofilo

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